Rassegna stampa

Riportiamo l’articolo di Erica Dinale sul convegno ‘Quali forme di associazionismo per il futuro’ comparso sul Corriere degli Italiani.

Domenica 28 ottobre scorso, la CAVES e il Comites hanno organizzato con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia e il contributo del Ministero degli Affari Esteri un convegno dal titolo: “Quali forme di associazionismo per il futuro?”

I lavori sono stati aperti dal presidente della CAVES e del Comites Luciano Alban. Dopo un breve saluto del Console aggiunto di Zurigo Marco Nobili, la parola è passata subito a Giangi Cretti, moderatore del convegno, e al professor Sandro Cattacin, che ha illustrato i tre fattori principali alla base della trasformazione in atto della vita associativa. La società è oggi un insieme di individui con legami più leggeri, più volatili rispetto al passato. Gli elementi forti che un tempo la sostenevano – la fiducia verso le istituzioni, i partiti e la comunità religiosa – ora vengono a mancare. Le nazioni non costituiscono più un punto di riferimento: le persone si orientano a una dimensione territoriale più ristretta, come quella della città, mentre la mobilità è ormai diventata la norma. Ecco che entrare a far parte di un’associazione non è più così scontato: la comune origine non è un motivo sufficiente per farlo e molte persone, prima di fare questo passo, si chiedono a cosa possa servire, che vantaggi offra loro l’associazionismo. La forte mobilità fa anche sì che il volontariato sul lungo termine stia scomparendo, sostituito da forme di impegno più brevi (secondo le ultime ricerche, in media gli stranieri rimangono in Svizzera per cinque anni) su progetti legati a tematiche di interesse. Il professor Cattacin conclude sottolineando che, alla luce di questi elementi, l’associazionismo deve rivedere il suo modo di operare, aprendosi a tutti coloro che desiderano partecipare, anche se solo per brevi periodi. La dottoressa Irene Pellegrini ha poi presentato alcuni dei risultati di un programma di ricerca sull’italofonia al Nord delle Alpi. Mentre in passato gli immigrati condividevano bisogni, obiettivi, dialetto e condizioni abitative, gli italiani che arrivano ora in Svizzera hanno in comune solo il passaporto e la lingua italiana. La forte propensione al “comunitarismo” del passato è sostituita da un associazionismo più fluido, “digitale”, direttamente legato alle necessità e agli interessi del singolo e svincolato da istanze ideologiche e politiche forti.

A questa prima parte introduttiva sono seguiti gli interventi dei rappresentanti di tre associazioni “giovani”: Eugenio Serantoni della ZIGSS, Gaia Restivo della Fabbrica di Zurigo e Antonio Solazzo del gruppo facebook Italiani a Zurigo. Ognuno di loro ha presentato la propria associazione, spiegando come è nata, in che modo opera e quali sono i suoi obiettivi. Le associazioni si rivolgono ad un pubblico in parte diverso (la ZIGSS, ad esempio, agli studenti italiani di master e dottorato del Politecnico e dell’Università di Zurigo) e si avvalgono tutte di Internet e dei social media pur cercando di organizzare degli incontri “fisici” con una certa regolarità. Tutte e tre le associazioni offrono agli italiani arrivati in Svizzera un servizio di informazione e sostegno su questioni molto pratiche e concrete, come l’iscrizione all’AIRE, la cassa malati, la ricerca di un alloggio. La Fabbrica di Zurigo si distingue inoltre dalle altre due associazioni per il suo dichiarato impegno in ambito politico-culturale, anche su temi locali, come ad esempio le iniziative promosse a Zurigo per sostenere la parità salariale.

Un altro interessante spunto di riflessione è stato offerto da Sergio Sotgiu, docente di filosofia, che ha sottolineato l’importanza dell’associazionismo e il suo valore “politico” in senso lato. Chi si riunisce e partecipa ad un evento che ha come finalità il bene comune – proprio come il convegno in questione – fa politica, ha dichiarato lo studioso, è un abitante della stessa polis. La vita umana vive delle socialità primarie, come quella del vicinato, e ha un’ineludibile dimensione comunitaria, di radicamento, alla quale risponde proprio l’associazionismo. La mancanza di questa dimensione comunitaria porterebbe inevitabilmente all’alienazione da sé stessi, dal territorio, dal mondo.

Il vivace dibattito che ha seguito gli interventi ha sottolineato come alcuni esponenti dell’associazionismo storico fatichino a vedere nelle forme attuali il prosieguo delle associazioni “storiche” e temano che vi sia una sorta di scollamento tra le persone e che vadano persi i contatti con le autorità locali. Altri hanno portato avanti la questione della difesa e promozione della lingua e cultura italiana a Nord delle Alpi, chiedendo se queste associazioni cerchino anche il contatto con gli svizzeri di lingua italiana residenti in Ticino e nei Grigioni.
A chiusura dell’incontro, Giangi Cretti ha riassunto quanto emerso dai numerosi interventi. Come la società, anche l’associazionismo è in continuo cambiamento. I suoi elementi identitari e valoriali – l’Italia e la lingua e cultura italiana – sono però immutati, così come i bisogni delle persone. Ad essere cambiati sono i tempi (si rimane meno a lungo ancorati), le dinamiche e gli strumenti a disposizione, degli strumenti di per sé formidabili, che offrono il grande vantaggio di poter curare i contatti anche senza doversi fisicamente recare in un luogo preciso. Fondamentale, come sottolineato dal presidente della CAVES e del Comites Luciano Alban, rimane l’interesse della singola persona: l’associazionismo vive infatti dell’interesse e dell’impegno di ognuno, cambia nelle sue forme, ma non nell’essenza.

Alla fine di queste tre ore intense ed estremamente interessanti, i relatori ed il folto pubblico riunito nelle belle sale del Liceo Artistico di Zurigo hanno potuto continuare a scambiare idee e riflessioni attorno ad un rinfresco gentilmente offerto dalla Federazione dei Circoli Sardi in Svizzera.

 

Erica Dinale